Chi mi conosce a sufficienza, sa bene quanto mi piaccia pormi delle domande circa il potere delle parole. Adoro analizzarne il significato, esplorarne gli orizzonti più reconditi, l’influsso che esse esercitano sull’individuo e le sue relazioni sociali – forse perché sono abbastanza maldestro in entrambe le discipline.
Chi mi conosce a sufficienza, sa bene quanto mi piaccia pormi delle domande circa lo scenario socio-culturale presso il quale sono nato e cresciuto – quello catanese. Ebbene: ritengo che attraverso l’analisi delle parole sia in qualche misura possibile delineare i rudimenti di alcuni tra gli usi e i costumi soggiacenti a una cultura – nello specifico, mi sono permesso di definirla definirla socio-linguistica etnea.
Benché mi vengano i brividi al solo pensiero di illustrarvi la categoria di cui oggi intendo parlare, specie se rapportata all’universo linguistico catanese, ho deciso di correre questo rischio. Ebbene: oggi parliamo di Etica.
Ritengo indubbio che l’etica sia uno dei primi principi cui veniamo edotti, sin dai primordi della nostra esistenza – una delle prime cose che veniamo imparati, se vi piace di più. Le prime parole che ognuno di noi apprende, sin da bambino, sono sicuramente Mamma e Papà – oserei dire che in Sicilia mafia sia la terza, come argomentato in precedenza – dunque, in rapida successione, si discerne a classificare gli elementi che compongo il nostro ambiente in categorie che possono sommariamente categorizzate secondo il concetto di “Bene” e “Male” – in maniera simile: “Buono”/“Cattivo”, “Giusto”/“Sbagliato”, etc.
Orbene, neanche a dirlo, a Catania seguiamo una categorizzazione tutta nostra – che indubbiamente restituisce il senso della nostra fantasia, laddove non sia più opportuna definirla come squilibrio mentale.
Ci pensavo qualche giorno fa, quando il mio capo mi ha concesso qualche giorno di ferie – che a ben vedere sarebbe più opportuno considerarle come un mio diritto, non come una cortesia. Ebbene, mi sono sentito talmente gratificato che sentivo come un bisogno urgente di esternargli il mio più profondo senso di riconoscenza. Se è vero che il linguaggio è pressoché indispensabile, in queste circostanze, è altrettanto vero che attingere a un repertorio folk è la maniera più diretta, in taluni casi. Avrei proprio voluto dirglielo: ‘a si’ un patr’i famigghia!
Gia, un patr’i famigghia. Forse perché la famiglia rappresenta la prima forma d’inclusione di ciascun individuo, forse perché a Catania non facciamo mistero di attribuire parecchia importanza al concetto di “Famigghia” (sic!), forse perché come dicevo poc’anzi siamo fantastici e fantasiosi, sicuramente faccio ancora fatica a capirne l’esatta ragione.
Però, si, quando qualcuno compie un gesto gentile (o dovuto) nei nostri confronti – di qualsiasi tipo, entità, grado di difficoltà più o meno elevato – per noi rappresenterà sicuramente ed incondizionatamente un patr’i famigghia! – benché risulta ancora possibile utilizzare una sfumatura più schiettamente sessuale (‘a c’hai a cedda ‘rossa!) oppure, più banalmente, la modalità classifica: (‘a si u nummuru unu!).
E’ inutile nasconderlo, l’accezione familiare è quella che ci piace di più: una volta sono riuscito ad esternarlo anche a mia mamma, il mio più sentito e caloroso ‘a si’ un patr’i famigghia! Esprimiamo la nostra gratitudine così:
– ‘mbare, mi po’ pristari scentu malalà (centomila lire, secondo trascrizione fonetica)?
– be’, in verità sono un po’ a corto di denaro, ma vedrò cosa posso fare…
– ‘a si’ un patr’i famigghia!
– ‘mbare, mi fa’ addumari?
– Certo.
– ‘a si’ un patr’i famigghia!
– ‘mbare, mu passi l’ogghiu?
– Certo.
– ‘a si’ un patr’i famigghia!
Padri di famiglia sempre, padri di famiglia come se piovesse, padri di famiglia anche le madri, le sorelle, le zie, tutti. Dimostramo il nostro affetto filiale un po’ a chiunque. La qual cosa ci rende unici.
E se invece la risposta fosse stata no? Come viene categorizzata l’etica, nella sua accezione negativa? – accezziuone, in catanese. Poche mezze misure anche in questo caso. Non si discute, non si transige, c’è poco da fare: in tal caso sarai sicuramente e incodizionatamente un gran pezz’i medda! – senza distinzione alcuna in termini di razza, sesso, lingua, problematiche di qualsiasi tipo, entità, grado di difficoltà più o meno elevato.
– ‘mbare, mu passi l’ogghiu?
– eh, è finito…
– pezz’i medda!
– ‘mbare, mi fai addumari?
– Sorry, I can’t speak italian…
– pezz’i medda!
– papareddaaa! u spaddamu stu rossetto?
– sono lesbica…
– pezz’i medda!
Pezz’i medda facilente, pezz’i medda!tutto l’anno, pezz’i medda e forse anche in quest’espressione è soggiacente un’accezione vagamente affettiva – per ragioni che sfuggono alla mia comprensione.
Proprio in virtù di questa sua natura vagamente affettiva, l’amore per questa espressione, mi ha condotto ad una delle più grosse malacumpasse mai fatte in vita mia. Ci trovavamo in biblioteca, squillò il telefono di Andrea, lo bollai caramente come pezz’i medda! proprio lì, in quel luogo un tempo deputato alla cultura. Salvo poi scoprire che il telefono che squillava era quello della ragazza seduta dietro di me, ma questo è un altro discorso.
19 Marzo 2015, oggi è San Gisepp. Auguri a tutti i patr’i famigghia! – i pezz’i medda li festeggio ogni giorno!